La filiera corta può dare una mano in caso di crisi di mercato

La famiglia Nava, brianzola doc, macella in proprio 900 suini l’anno. Li vende nello spaccio aziendale e presso il mercato di Campagna Amica di Milano. «La vendita diretta, in alcuni casi, può fare la differenza» spiega Davide, il giovanissimo titolare

di Ottavio Repetti

Giovani, social il giusto, carichi di idee e per nulla disposti a stare sull’ottovolante dei prezzi. Sono la nuova generazione di allevatori che si sta faticosamente facendo avanti, tra norme Ue da rispettare, problemi sanitari e rincari delle materie prime. E tutti hanno un’idea ben chiara in testa: sul mercato ci si sta meglio se si saltano le intermediazioni e si va direttamente al consumatore finale.

Due mesi fa incontrammo un esponente indiscusso di questo movimento: Stefano Bellia, anima del Maialino Rosa di Martellago (Ve). In questo freddo gennaio conosciamo l’ultima generazione di un’azienda che vanta un’esperienza di ormai mezzo secolo nel campo della vendita diretta. Il che la rende, se non la prima in Italia, certamente una delle prime ad aver cercato la filiera ultra-corta.

All’ombra della Madonnina

Siamo a Roncello, provincia di Monza-Brianza ma in realtà a metà strada tra Milano e Bergamo.
Qui, a due passi dalla A4, ha sede l’Agricola Nava, gestita da ormai tre generazioni dall’omonima famiglia. «In realtà le generazioni sono quattro: fu infatti il mio bisnonno ad avviare l’attività agricola, ai tempi con una piccola fattoria a Cologno Monzese, allora in aperta campagna», ci spiega Davide, che rappresenta per l’appunto la nuova generazione di questa dinastia di allevatori. «Ai tempi la zootecnia era praticata soprattutto per consumo interno: un suino, qualche vacca e pollame. Per il resto, si coltivavano grano e mais nei campi. Continuò così fino a quando mio nonno Enrico, che non aveva passione per le vacche da latte, rimpiazzò la stalla con un allevamento di suini. Era appena finita la guerra e costruirono le porcilaie andando a prendere i mattoni in via Palmanova, a Milano, con cavallo e carro.L’allevamento crebbe notevolmente, negli anni Sessanta. Tuttavia era ormai inglobato nella città, che si stava espandendo. Perciò nel 1968 vendettero la proprietà e acquistarono qui a Roncello, in una zona molto più decentrata».

La filiera si accorcia

Con l’occasione, ci spiega il giovane suinicoltore, i Nava passarono da un’alimentazione fatta di avanzi a una più moderna. «In precedenza recuperavano gli scarti delle mense: dalla guardia di finanza al Biffi di Galleria Vittorio Emanuele. Trasferendosi lontano da Milano scelsero una dieta fatta in gran parte di sfarinati, molto simile a quella che usiamo ancor oggi».

L’azienda arrivò a contare duemila capi, che per gli standard dell’epoca – fatti di alimentazione e pulizia manuale – non sono certo poca cosa. La vera svolta arriverà comunque dieci anni dopo, nel 1978, quando Enrico Nava inizierà a vendere suini ai privati. Ai tempi, ovviamente, si trattava di animali vivi o appena macellati, ma contemporaneamente la famiglia cominciò anche a fare salami per la vendita al dettaglio. «Da allora non si sono più fermati: ai salami si aggiunsero altri insaccati, quindi i tagli freschi. Nel frattempo, mio padre Sergio e mio zio Sandro avevano rilevato l’attività e la espansero soprattutto nella vendita diretta».

Anche l’allevamento si espanse, ovviamente, arrivando a 300 scrofe a ciclo chiuso. «Passammo però al ciclo semi-aperto finché nel 2007 dovemmo scegliere: rifare le gabbie parto, rifare le vasche dei liquami o mettere a norma Ce il macello, che era stato aperto nel 1992. Scegliemmo quest’ultimo, abbandonando le scrofe e dedicandoci esclusivamente all’ingrasso e alla trasformazione». L’ingresso di Davide Nava nell’attività di famiglia, avvenuto nel 2015, ha ulteriormente intensificato questa attività.

Un’ampia gamma di prodotti

Il ventaglio di prodotti si è così ampliato in modo esponenziale: partendo da salami e successivamente tagli freschi, si sono aggiunti insaccati di ogni tipo come coppe, pancette, salsiccia, verzini (piccole salsicce utilizzate nella preparazione della Cassoeula, tipico piatto brianzolo che trovi anche in kit), quindi prosciutti crudi e culatelli, per finire con prosciutti cotti e, recentemente, prosciutto di Praga (un cotto affumicato, come noto) e wurstel.

«Questi ultimi li produciamo grazie al nuovo forno, acquistato lo scorso anno con il credito d’imposta 4.0. Anziché cambiare il trattore, abbiamo preferito puntare sul forno: siamo certi che si ripagherà in tempi molto più rapidi». Nuovo, automatico e in linea con tutte le norme europee, permette di realizzare piatti pronti ma anche prosciutti e altri salumi cotti, anche affumicati. «È semplicissimo, basta una manciata di trucioli nell’apposita vaschetta. Mettiamo in forno le cosce a sera e al mattino sono pronte».

Da suinicoltori a gastronomi

Davide Nava non si sente arrivato, anzi il percorso che ha immaginato è soltanto all’inizio.
Il passo successivo, già nel corso delle prossime settimane, saranno i piatti pronti. «Grazie al forno potremo offrire molte preparazioni già cotte. Le abbiamo sperimentate negli ultimi mesi del 2021 con un buon riscontro. Spaziano dallo stinco alla bavarese al pulled pork, un taglio di carne sfilacciata tipico degli Stati Uniti. Sono made in Usa anche le costine alla S. Louis e altre preparazioni decisamente appetitose. Il nostro obiettivo è incrementare la vendita di piatti pronti e di alimenti confezionati in atmosfera protetta, due offerte da affiancare alla vendita di tagli freschi e salumi tradizionali».

A medio termine c’è poi il progetto di un terzo punto vendita, accanto ai due di cui parleremo a breve. «Pensiamo a una soluzione tipo fornello pronto, che sia a metà tra un bar per aperitivi o apericene, un ristorante e la classica macelleria. Un posto dove i clienti possono fare acquisti ma anche fermarsi per l’aperitivo o una cena veloce a base di wurstel, stuzzichini vari, affettati e vino locale».

Uno degli aspetti più interessanti, analizzando la strategia aziendale dei Nava, è l’ampiezza della loro offerta: pur essendo per certi versi ormai al pari di qualsiasi gastronomia, nonché pronti a fare il salto verso una forma di ristorazione, seppur minimale, non hanno abbandonato il business originale. E con esso intendiamo sia la vendita dei suini nella filiera delle Dop Parma e San Daniele, sia e soprattutto la cessione di animali interi o di quarti a privati. «Ci sono ancora molti che vogliono prodursi i salumi in casa. Persone che comprano la mezzena o il quarto o anche una spalla o una coscia per poi lavorarla in autonomia. Sono soprattutto anziani – i giovani, come noto, acquistano più che altro piatti già pronti – ma a essi si sono aggiunti, da pochi anni, gli immigrati dall’area Balcanica, che hanno una solida tradizione in materia. In genere, sono consumatori che vogliono gestire la carne in modo particolare, vuoi con una speziatura specifica, vuoi con altri trattamenti. A volte ci chiedono una salagione di un certo tipo e nel limite del possibile li accontentiamo, ma spesso preferiscono comprare la carne e fare da soli. Per noi va bene: il nostro obiettivo è accontentare tutti, chi vuole un suino intero come chi vuole uno stinco già cotto».

L’idea del fai da te, del resto, è stata sposata dall’azienda già da anni con il kit salsiccia. Lasciamo la doverosissima spiegazione all’ideatore: «In pratica abbiamo pensato di realizzare un kit per farsi da soli le salsicce. Chi lo ordina riceve una confezione con carne trita, spezie per la concia, budello naturale, spago e una sac-a-poche per insaccare. Ha avuto un discreto successo, soprattutto come regalo per i ragazzi, che possono mettersi a pasticciare con la carne e al tempo stesso imparare che dietro a ogni alimento ci sono lavoro e
fatica».

Ogni cliente è un mondo

Ci sono clienti di ogni tipo e la famiglia Nava cerca di accontentarli tutti. Lo fa, attualmente, tramite due punti vendita e un po’ di e-commerce, che tuttavia al momento non è particolarmente sviluppato.

Analizziamo allora le specificità dei due negozi attualmente attivi. Il primo è il classico spaccio aziendale, aperto a fianco dell’allevamento. Il secondo è un banco che fa parte del mercato fisso di Campagna Amica, in Porta Romana a Milano.
«Sono due realtà totalmente diverse. Nello spaccio vendiamo soprattutto tagli freschi e poi i tradizionali salumi, più qualche piatto pronto, generalmente ancora da cuocere. Una macelleria tradizionale, insomma. Sul banco presso il mercato coperto, invece, va di tutto, ma la domanda riguarda principalmente piatti pronti e già cotti. La differenza con il negozio di paese è molto netta: a Roncello abbiamo una clientela abbastanza tradizionalista, a Milano cercano la novità e sono pronti a provare di tutto. Certamente è uno spaccio che dà grande soddisfazione, anche dal punto di vista economico. Un prodotto come il guanciale già tagliato in cubetti, per esempio, se lo rubano senza badare al prezzo».

Non è facile essere così versatili, per una famiglia che in fondo nasce come allevatrice.
Ad aiutarli c’è senza dubbio la quarantennale esperienza di vendita diretta. «Sicuramente aver lavorato per tanti anni a contatto con il pubblico aiuta. Io, per esempio, già a tre anni stavo dietro al bancone con mio padre. Sono cresciuto respirando l’aria di un negozio e questo è senz’altro d’aiuto, anche se, personalmente, preferisco stare in campagna o nelle porcilaie. Tuttavia mi impegno anche per la vendita, soprattutto cercando di portare nuove idee».

Anni difficili

Attualmente i Nava allevano 1.800 capi, che in due cicli ammontano a un totale di 3.600 grassi l’anno. Di questi, circa 900 sono macellati in proprio e venduti freschi o trasformati: si tratta di una delle più alte percentuali di vendita diretta che ci sia capitato di incontrare, presso un suinicoltore indipendente.
La domanda, allora, è quanto una filiera corta così sviluppata abbia aiutato l’azienda nei momenti difficili, che negli ultimi anni non sono certo stati pochi.
«Senza dubbio è stato un bel sostegno – risponde Davide – soprattutto durante la crisi a cavallo del decennio scorso. Purtroppo non sta aiutando più di tanto ora, con la crisi della pandemia. O meglio: nel primo lockdown abbiamo lavorato un sacco, non so quante migliaia di chilometri ho fatto per le consegne a domicilio. Quest’anno, tuttavia, stiamo sentendo la recessione. È evidente che le gente ha meno soldi in tasca. Anche le vendite di Natale – solitamente un periodo molto proficuo – sono partite nettamente in ritardo e con spese individuali inferiori alla media degli anni precedenti».

Soddisfazioni…

Un vero problema, soprattutto se si considera che negli stessi anni il prezzo delle materie prime è salito alle stelle. «Al momento conviene di più alimentarli con il nucleo rispetto a una razione preparata da noi, che ha un prezzo di circa 35 euro al quintale. Purtroppo viviamo un momento difficile: se il prezzo dei suini resterà ad almeno 1,7 euro al chilo, ci perderemo circa 15 centesimi per chilogrammo, vale a dire dai 30 ai 40 euro per grasso venduto. Del resto non si possono tenere nella porcilaia aspettando che i prezzi salgano».

I Nava sono fortemente deficitari in materia di alimentazione. Sui loro 15 ettari di terreni coltivano orzo, mais e soia di secondo raccolto. «Facciamo il possibile, ma la superficie è ridotta e alla fine dell’anno siamo già quasi senza mais. Per fortuna abbiamo la vendita diretta che ci dà una mano: anche in stagioni difficili come questa ha un ritorno nettamente superiore rispetto alla vendita degli animali vivi. D’altronde comporta un carico di lavoro decisamente superiore per l’abbattimento, la preparazione della carne, la trasformazione e infine la vendita. A ogni modo non possiamo trascurare nemmeno l’innegabile soddisfazione personale di vedere i clienti contenti e che raccomandano la nostra carne ad altri. Con alcuni di essi si sono instaurati rapporti di amicizia. Per esempio, diamo loro i nostri prodotti “sperimentali” e loro ci dicono che ne pensano».

…e delusioni

I motivi di insoddisfazione, conclude Nava, sono invece dati dal senso di impotenza dovuto alla crisi. «È sconfortante vedere che nonostante gli sforzi fatti e un indice di accrescimento di circa 800 grammi al giorno, non si riescono a pagare i costi di produzione. E devo dire che è anche deludente non vedere, in altri attori della filiera, l’impegno e l’attenzione che noi mettiamo per far funzionare la nostra azienda. Mi riferisco al mondo della trasformazione, ma anche a quello consortile. Si comportano come se tutto andasse per il meglio invece di impegnarsi per recuperare uno stato di evidente difficoltà tramite nuove iniziative e azioni di marketing incisive».

Articolo tratto dall’articolo creato e pubblicato da Suinicoltura